La Storia

La fase Medioevale

La situazione urbanistica

La dimora prestigiosa appartiene ad uno storico edificio di piazza Sordello, ubicato tra la costruzione medievale che attornia la torre della Gabbia e il palazzo merlato che precede quello attualmente di proprietà Castiglione. Quello che oggi appare come un unico organismo architettonico, comprendente un lato in via Cavour con la torre e il lato piazza Sordello, originariamente era diviso in più proprietà.

Sull’asse dell’odierna via Tazzoli si apriva un passaggio stradale che delimitava il palazzo degli Acerbi da un lato e dall’altro vari edifici che furono acquistati dai Bonacolsi a partire dal 1281. L’illustre famiglia, che aveva preso il comando della città attorno al 1272, intendeva costruire una corte principesca, rappresentativa della potenza acquisita dalla signoria a fine secolo. Nella cittadella era compresa anche una cappella privata, in origine ornata da preziosi affreschi di scuola giottesca.

I Bonacolsi costruiscono la loro dimora entro il perimetro della civitas vetus. In età medievale, tra l’XI e il XIV secolo, la città era costituita da un piccolo nucleo fortificato, appunto la civitas vetus, comprendente l’attuale piazza Sordello e la retrostante piazza Canonica di San Pietro. Il perimetro era definito dall’ancona di S. Agnese, dal lago di Mezzo e dal fossatum bovum coincidente con l’asse via Accademia - via Cavour.


La civitas vetus era accessibile attraverso tre porte: porta San Giorgio, porta Sant’Agnese, porta San Pietro, il cosiddetto voltone di san Pietro. Tale porta metteva in comunicazione piazza Sordello con il suburbio che si espandeva a Sud.

I Bonacolsi rivalutano la civitas vetus qualificandola come roccaforte del signore, vero e proprio recinto curtense. Nella prima metà del XIII secolo il centro di vita cittadino si sposta nella città nuova dove incontriamo piazza Broletto e piazza delle Erbe in cui hanno sede il palazzo comunale e il palazzo della Ragione.

In piazza Sordello si afferma il nuovo polo aristocratico-amministrativo che si sostituisce al vecchio centro comunale.

All’interno della piazza rimangono fino ai primi anni del ‘300 due assi viari: la strada magni S. Petri, dal voltone al Duomo, e la strada di S. Maria Mater Domini in aderenza al palazzo del Capitano.

In seguito alla costruzione del palazzo, si abbatte l’isolato urbano presente fra le due strade, dando origine all’attuale piazza Sordello, con un’operazione detta di "guasto".

Pinamonte Bonacolsi intendeva privatizzare la civitas vetus fin dal 1273. Fondamentale è il Contractus venditionis turris et domorum Axerborum facta domino Pinamonti (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, bb. 245-248, fasc. 4) che attesta in data 10 aprile 1281 l’acquisizione da parte di Pinamonte del nucleo comprendente la torre della Gabbia e le case adiacenti già appartenute ai fratelli Monzone e Antonio, Acerbino e Montino della famiglia Acerbi.

Il voltone di San Pietro venne utilizzato a guisa di ponte per congiungere i palazzi della famiglia.

Pinamonte nel 1281 inizia ad occupare anche il lato Nord dell’odierna piazza Sordello: acquista dagli Acerbi quattro proprietà (pecia terre cum domo et turri) descritte con dati precisi, tra cui una casa detta Caminata e una casa Merlata. Di fronte alla casa Merlata abbiamo una torre che si collega mediante un ponticellus che attraversava la Via Comunis.

E’ quindi ipotesi ragionevole che a separare i due caseggiati vi fosse uno spazio libero: la Via Comunis, posta di fronte all’odierna via Tazzoli. La torre della Gabbia faceva probabilmente parte della sede del primo palazzo comunale.

L’ultima proprietà oggetto della permuta è quella relativa alla casa di Azolino Acerbi che abitava nella dimora posta all’angolo dell’incrocio fra la Via Comunis e la strada che conduceva a San Pietro.

L’espansione dei Bonacolsi proseguì estendendosi sul lato Nord dell’attuale piazza Sordello per arrivare, con Guido Bonacolsi, a comprendere tutti gli edifici posti fra il fossato dei buoi e la Cattedrale di San Pietro.

Preoccupato della sorte della sua eredità, Pinamonte il 1 novembre del 1286 fa redigere un atto che assegna agli eredi una parte della sua proprietà immobiliare.

Il documento, Divisio domorum inter filios et nepotes domini Pinamontis, registra le proprietà di Pinamonte frazionate in quattro lotti. A Bardellone, secondogenito di Pinamonte che succederà al padre nel ruolo di Capitano del popolo, vengono assegnate le proprietà più ampie e prestigiose: quelle poste accanto alla porta occidentale della Civitas vetus. Il lotto è diviso in due parti dalla via che era chiamata Comunis, una strada destinata a scomparire perché poi chiusa da quell’edificio che contiene anche la cappella Bonacolsi.

L’organismo architettonico originario è la Torre della Gabbia con annessa la casa degli Acerbi. Su questo nucleo (attraverso vari passaggi, ballatoi e logge) avviene l’accorpamento dei vari edifici sino a comprendere l’imponente Palazzo Castiglioni e la casa torre di vicolo Bonacolsi.

Si configura pertanto un vero e proprio fortilizio situato presso la porta di San Pietro in un punto nevralgico: a Sud vi era l’accesso alla città comunale, a Nord la struttura organizzata attorno alla Cattedrale e agli edifici relativi al potere ecclesiastico.

Il prestigio del palazzo era confermato dagli affreschi della cappella, ubicata nel vasto complesso di edifici posseduti fin dalla fine del XIII secolo dai Bonacolsi, e perciò denominata "cappella Bonacolsi".

Nel 1870 l’artista Bortolo Bosio scopriva la cappella medievale i cui affreschi venivano pubblicati da Carlo D’Arco. Nello stesso anno vengono strappate due composizioni: una Crocifissione e la Madonna in trono e Santi, quest’ultima divisa in quattro frammenti: Nozze mistiche di S. Caterina; Santo diacono e due angeli.

Contraddittoria la valutazione critica dei pezzi, considerati di norma di scuola giottesca. Tra il 1857 e il 1858 il pittore Giuseppe Razzetti aveva eseguito ad acquerello miniature che copiano gli affreschi prima dello stacco del 1870.

I frammenti staccati emigrarono a Venezia, dove ne troviamo notizia solo nel 1909. Tali frammenti sono ora conservati presso varie sedi, tra cui il Metropolitan Museum di New York e il Willumsens di Frederikssund (Danimarca).

L’alta qualità formale degli affreschi induce a collocare il complesso nell’area di influenza giottesca post-padovana, entro il secondo decennio del Trecento.

In ambienti attigui al vano della cappella sopravvivono vari documenti pittorici con decorazioni astratte e geometriche, che simulano tappezzerie, databili attorno alla seconda metà del Duecento, anteriormente alla proprietà Bonacolsi.

Pertanto la decorazioni di epoca medievale del palazzo si possono scandire in due fasi:

  1. anteriormente al 1281, anno di acquisto dei palazzi da parte di Pinamonte Bonacolsi;
  2. età compresa fra il 1281 e il 1328, anno della cacciata dei Bonacolsi.



La fase Umanistica

Una nuova stagione di cospicui interventi nel palazzo nella facciata rivolta verso via Cavour si attua all’inizio del XVI secolo, quando l’edificio diviene possesso della famiglia Guerrieri.

Secondo un manoscritto ottocentesco di Carlo D’Arco, nel 1505 il marchese Francesco Gonzaga, durante il viaggio di ritorno dall’Italia meridionale, fu ospitato a Fermo dalla famiglia Guerrieri.

I legami fra le due famiglie divengono stretti: i fratelli Giovanni Battista, Lodovico e Vincenzo, figli di Giovanni Francesco Guerrieri, seguono a Mantova il marchese Francesco. Questi conferisce a Ludovico e ai suoi discendenti il privilegio di avvalersi del nome Gonzaga che viene affiancato a quello Guerrieri.

Ben presto la posizione sociale di Ludovico è in ascesa: nel 1514 è nominato "marchionalem consocium benemeritum" e nel 1519 è ricordato nel testamento di Francesco Gonzaga come "magnificum equitem dominum Ludovicum de Guerrerii de Gonzaga". Anche sotto il dominio di Federico Gonzaga gli incarichi di Ludovico attestavano grande prestigio e consolidamento della propria situazione patrimoniale. Nel 1522 è luogotenente generale del marchese di Mantova e viene richiesto dai cittadini di Fermo, suo luogo natale, per sedare tumulti in quella città.

Ludovico morirà nel 1530 a quarantasette anni e sarà sepolto nella chiesa di San Domenico.

Durante recenti lavori di restauro effettuati in una sala adiacente la torre della Gabbia sono state riportate alla luce due lapidi murate di straordinaria importanza per la storia dell’edificio.

In una di queste lapidi, datata 1760, viene ricordato che Federico II, duca di Mantova, regalò a Ludovico Guerrieri, meritevole di premi per aver fatto le veci del principe a Parma e Cremona assediate dai Francesi, la torre e il palazzo sottostante con l’unito arco, nell’anno 1526 il giorno X gennaio.

Il testo della lapide trova riscontro nei registri dei decreti dell’Archivio Gonzaga (Decreti, libro 37, c.262 r.v.): "Donatio cuisdam palatii cum turri magna et cum fornici superiori portae guardiae et cum quadam via, seu viazola servitutis, positis Mantuae in contrata Aquilae".

A questi anni risalgono le raffinate modifiche della facciata di via Cavour: le lesene marmoree che scandiscono la facciata, già attribuita a Luca Fancelli ma giustamente riportata dal Marani ad età più tarda per consonanza con i pilastri della chiesa di Santa Maria della Comuna presso Ostiglia. Anche la decorazione pittorica si rifà al linguaggio del Mantegna per il motivo dei poligoni allacciati (che richiama i dischi allacciati della Camera picta) e per il nobile fregio con putti e tritoni, sempre di ascendente mantegnesco.

Sul portale della casa è la seguente iscrizione: "Francisci munus Gonzaga hec (sic) tecta novavit / munere dignus hic est munera qui reparat" - "Il dono di Francesco II° Gonzaga rinnovò questa casa. Degno è il dono questi che ripristina i doni".

Pertanto la facciata ben s’inserisce nell’aura dell’età isabelliana per ricordi umanistici e motivi tratti dall’immaginario mantegnesco.

Sino alla metà del XIX secolo l’edificio rimane proprietà dei Guerrieri Gonzaga.

In vari appartamenti riadattati alla fine del Settecento si conservano importanti e raffinate decorazioni a grottesche, tipiche della scuola di ornato dell’Accademia di Belle Arti mantovana.